Per un congresso di rinnovamento

Care compagne cari compagni, abbiamo insistito con forza, prima delle elezioni perché nel nostro circolo si svolgesse un congresso straordinario. L'esigenza di un congresso nasce da una considerazione importante, quanto drammatica: il nostro partito a livello territoriale, e non solo, è ormai incapace di stabilire contatti proficui con le tante realtà del disagio, del lavoro, di giovani e con tutto ciò che in generale può rappresentare realtà di movimento. Noi non pensiamo che questa situazione, sia determinata da un solo fattore, sono diverse infatti, le ragioni di uno stallo politico che si trascina da lungo tempo. Divideremo queste ragioni in paragrafi semplificativi per fare si che tutti possiate comprendere in modo chiaro il nostro pensiero.

Comunicazione e linguaggio

Chi di voi ha assistito ad attivi di circolo, riunioni su temi specifici, o altro ancora si sarà accorto che il linguaggio adoperato è un linguaggio antico, pieno di stereotipi, luoghi comuni su cui la sinistra è campata di rendita per decine d'anni. Molti di noi, pensiamo anche molti di voi, avvertono un profondo distacco tra questi linguaggi e i nuovi bisogni che si muovono nella società attuale. C'è nel partito l'idea che un gruppo dirigente, sia territoriale sia di livello superiore si riunisca per interpretare e decidere i bisogni delle varie realtà del disagio, poi una volta individuati calarli dentro le realtà per farli digerire. A nostro giudizio questo procedimento politico non solo è sbagliato, ma è dannoso e controproducente. Infatti, mentre prima della caduta del muro l'ex PCI era ritenuto il naturale punto di riferimento dei lavoratori dei disoccupati e dei poveri, attraversati tutti dal senso dell'appartenenza, oggi dopo la caduta del muro, tutto ciò è venuto meno. Il capitalismo italiano e i partiti del centro destra che lo sostengono in modo acritico hanno condotto un'offensiva culturale tale da costruire tra i ceti popolari l'idea per cui ognuno di noi può se si impegna raggiungere condizioni di vita economiche e sociali molto elevate, per costoro la ragione per la quale molti versano in condizioni precarie sotto il profilo economico e sociale risiede nell'incapacità, o peggio ancora nella non volontà di ciascuno di elevare la propria condizione. I comunisti, pertanto, diventano per i ceti popolari un ostacolo alla loro crescita, avvertiti come forza che vuole appiattire verso il basso tutto e tutti, insomma nella percezione comune i comunisti sono senza prospettiva e fuori dalla storia.

Radicamento sul territorio

Ci siamo interrogati a lungo sulla nostra incapacità di essere forza radicata nel territorio. La risposta più frequente che abbiamo ascoltato da chi oggi è maggioranza nel nostro circolo è che c'è scarso impegno tra i compagni, poca partecipazione alle iniziative, e cosi via; a nostro avviso quest'idea è superata e anch'essa dannosa al fine di comprendere le reali ragioni di un mancato radicamento nel territorio. Dobbiamo sperimentare forme nuove per interloquire con i ceti popolari. E' necessario comprendere in primo luogo che le forze militanti del circolo sono oggettivamente scarse e che quindi costruendo una scala delle priorità bisogna partendo da essa operare interventi mirati e qualificati. Bisogna rovesciare il concetto descritto prima del partito che interpreta e cala nella realtà, sostituendolo con un nuovo concetto che veda i compagni lavorare direttamente nella realtà di riferimento, con una capacità rinnovata di interlocuzione con essa. Ci deve guidare in questo lavoro l'idea che non basta capire ma bisogna comprendere, non basta avere presente le scelte di fondo del partito, ma bisogna avere competenze specifiche che ci sono permettano un efficace lavoro d'aggregazione, infine ( non perché meno importante) occorre accompagnare il tutto con una gran dose di umiltà e di umanità, qualità indispensabili se si vuole davvero costruire un concetto della rifondazione come strumento a dispostone di tutti. Dobbiamo una volta costruito il lavoro rendere partecipi i protagonisti dei bisogni, dando loro voce, fornendo strumenti organizzativi che consentano agli stessi d'essere protagonisti delle scelte che il riguardano. Non più quindi il partito che guida le masse, ma un partito che cammina con esse.

La militanza: dal dovere al piacere

Siamo stati abituati nella lunga tradizione comunista (sia istituzionale che non) a pensare alla militanza come atto di servizio, di disciplina, di totale abnegazione al partito o al movimento di riferimento. Il bravo militare sacrificava la famiglia, gli amici, il tempo libero per dedicare tutto se stesso alla politica attiva. Questo per molti anni ha dato "risultati", nel senso che avevamo tanti militanti dediti al partito o al movimento di riferimento ma pochi si chiedevano cosa comportasse tutto questo. Si assisteva a compagni o compagne che in nome della militanza non mettevano in discussione i rapporti interpersonali, non ci si chiedeva se l'essere mancati durante la crescita del proprio o dei propri figli era un fatto di sinistra oppure no, se infine i rapporti col mondo femminile contrassegnati fortemente da una concezione maschilista andavano ridiscussi oppure no. Provarono negli anni '70 le femministe ad introdurre un rivoluzionario concetto che recitava… "il personale è politico". Si pensava in altre parole che non era possibile disgiungere i nostri comportamenti quotidiani dalla politica in senso militante. Per qualche tempo questo dibattito si è animato, molti tentarono di mettersi in discussione, poi gli anni '80 spazzarono via tutto. Il PCI era in fase di decadimento, i movimenti antagonisti pressoché azzerati, venne la fase conosciuta come fase de riflusso. Quando fu sciolto il PCI, fu costituita la Rifondazione Comunista, che aggregò nella sua prima fase militanti dell'ex PCI,; in seguito aderirono al P.R.C. anche ex militanti di formazioni minori della sinistra o di ex realtà di movimento. Sembrava a tutti noi che la confluenza in un unico partito di esperienze diverse, producesse uno scatto in avanti, invece non ci si rendeva conto che nel frattempo eravamo profondamente cambiati. La famiglia, il tempo libero, il lavoro, ci avevano assorbiti, senza molti di questi valori sono ritenuti oggi più che mai da molti compagni valori fondamentali, di conseguenza pur rimanendo importante l'idea di un partito comunista non si è più disposti a scarificare troppo di quanto si è costruito per tuffarsi di nuovo nella militanza a tempo pieno. Noi pensiamo che hanno assolutamente ragione coloro che difendono le proprie scelte di vita come elementi anch'essi che contribuiscono alla costruzione di una società migliore. Questo vuol dire che si è più disposti a dare un contributo al partito, vuol dire semplicemente che le due cose non devono entrare in conflitto. Nella nostra idea di un circolo rinnovato pensiamo a quelle che chiamiamo forme di minor militanza. Ciascuno liberamente se rende disponibile sia in termini di tempo sia in termini d'interesse a dare un contributo al partito, è il partito stesso nel suo gruppo dirigente che deve tarare la politica territoriale sulla base delle disponibilità. E' necessario infine, sottolineare come troppe volte l'avere concepito la militanza come un dovere abbia prodotto confusione e demotivazione; la confusione nasce da una fin troppo palese mancanza di chiarezza del partito, non si conoscono se non genericamente le prospettive, non si ha una chiara identità; la demotivazione nasce dalla contraddizione tra la vecchia idea di appartenenza e le nuove necessità di cui abbiamo parlato prima. Il gruppo di maggioranza attuale è a nostro avviso (sia pur con relativa inconsapevolezza) responsabile della creazione di meccanismi che producono sensi di colpa e voglia di fuga. Dobbiamo invertire la tendenza in atto valorizzando tutti i compagni e le compagne, ognuno per quello che può dare, per quello che sa dare.

Rapporto partito/istituzioni locali

Abbiamo sentito spesso, nelle nostre discussioni, provenire dal gruppo dirigente critiche rivolte verso i consiglieri circoscrizionali per essere stati incapaci di comunicare al partito le decisioni più importanti, così da creare una frattura insanabile tra livello istituzionale e livello di partito. Noi non neghiamo che ciò sia avvenuto, tuttavia diamo una lettura diversa delle cose, riteniamo che l'assenza pressoché totale del partito dal territorio d'appartenenza, l'amore smisurato per i conflitti interni, piuttosto che quelli sterni, abbiano prodotto un naturale distacco cosichè il nostro lettorato e non solo ha percepito solo il livello istituzionale come rappresentate delle idee del PRC. Va recuperato fin da subito un rapporto tra partito e consiglieri, dobbiamo studiare forme di condivisione che ci portino ad un metodo comune di lavoro, ribadiamo però che senza un reale radicamento sul territorio quanto detto sarà destinato a fallire. Quindi è necessaria una forte autocritica da parte di tutti a partire da questo congresso.

Un bilancio in "rosso"

Sulla base di quanto detto fin qui possiamo trarre un bilancio negativo dell'attività del circolo. Arriviamo a questo congresso dopo avere tentato fino all'ultimo un coinvolgimento di tutti i compagni per un lavoro unitario; pensavamo così facendo di utilizzare il congresso, sia per rinnovare profondamente l'organizzazione del partito, sia per rinnovare il gruppo dirigente mettendo in discussione anche il segretario. Tutto ciò è stato interpretato come la volontà di tendere trappole di far fuori il segretario, e qualcuno non pago memore di fraseologie di anni '70 si chiede ancora che c'è dietro. Cari compagni dietro il nostro ragionamento, c'è solo la volontà di alcuni compagni di non rassegnarsi ad un circolo incapace di lavorare, c'è l'idea che rinnovare il gruppo dirigente non è un attacco personale a questo o a quello ma è semplicemente la necessità di costruire un impianto culturale diverso come abbiamo indicato lungo il corso del documento. Vogliamo nonostante tutto verificare se anche a congresso cominciato vi sono spazi per n lavoro unitario e per un ricambio concordato. Il nostro circolo versa in condizioni economiche difficili; il problema dell'autofinanziamento non è soltanto un fatto tecnico, ma dietro la richiesta che facciamo a tutti gli iscritti di contribuire alle spese del circolo, c'è la consapevolezza che anche il contributo economico come la militanza sono frutto di una condivisione, quando al contrario l'iscritto è invitato solo a pagare, ma non po' e non deve alterare gli equilibri di un disastroso congresso romano, allora la demotivazione e l'allontanamento sono conseguenze naturali. Rivolgiamo un appello a tutti gli iscritti e le iscritte al nostro circolo perché partecipino la congresso per sostenere un'idea nuovo di partito indipendente dai percorsi storici di ciascuno.


Michele Colangelo, Dario Bensi, Rosanna Ferrara, Giovanna Ricci